Estratto dall’articolo di Simonetta CABONI (Missionaria Saveriana) nel sito della Chiesa di Milano
Numerosi consacrati e consacrate si sono ritrovati sabato 28 settembre nella Basilica di San Carlo al
Corso, in occasione del primo incontro biblico della proposta formativa per l’anno 2024-2025 – intitolata
«Educare oggi all’amore cristiano» -, a cura del Vicariato della Vita consacrata dell’Arcidiocesi di Milano
in collaborazione con Usmi, Cism e Ciis.
Una proposta allargata
«Questo corso nasce da una indicazione presente nella Lettera pastorale dell’arcivescovo Delpini Viviamo
di una Vita ricevuta riguardo l’educazione affettiva dei ragazzi e dei giovani – spiega monsignor Walter
Magni, Vicario episcopale per la Vita consacrata -, dove si dice che gli adulti, sono chiamati “a fare
dell’educazione affettiva e del discernimento vocazionale una pratica in cui convergono molte
competenze, scelte coerenti e proposte comprensibili”. Lo scorso anno tutti i presbiteri diocesani erano
stati invitati dal Vicariato per la Formazione permanente del clero a confrontarsi proprio su questa
tematica. Pertanto, in accordo con gli organismi di comunione (Usmi, Cism e Ciis), mi è sembrato
opportuno insistere sulla stessa tematica formativa con i consacrati e le consacrate. Quanto alle attese,
l’auspicio è che i due percorsi proposti, biblico e teologico, raggiungano e coinvolgano non solo le
consacrate – come spesso avviene -, ma anche tanti consacrati in istituti e congregazioni che sempre meno
dispongono in loco di specifici itinerari formativi».
Nuovi stili di relazione
In occasione del primo incontro biblico, padre Luca Fallica, abate di Montecassino, ha introdotto i
presenti all’ascolto del profeta Osea, soffermandosi sulla relazione amorosa, metafora dell’amore divino.
Circa le principali sfide nell’educare oggi all’amore cristiano ha spiegato: «Penso che il tema ricordi
l’importanza della cura delle relazioni e, soprattutto, come la cura della relazione con il Signore debba
fecondare nuovi stili relazionali tra di noi. Mi sembra che una delle sfide principali sia quella di essere
segno di comunione in un mondo segnato da tante conflittualità. Non penso solo ai grandi conflitti su
scala mondiale, ma anche alle situazioni di conflittualità nell’ambito delle famiglie, del lavoro, nei luoghi
di aggregazione. Inoltre credo che oggi la dimensione dell’affettività, in passato talvolta non
sufficientemente considerata, porti con sé un aspetto fondamentale per la qualità della relazione col
Signore e, a partire da questa, per una maggior cura delle relazioni tra noi».
Una scuola d’amore
«Il cristianesimo è una bellissima scuola d’amore perché “Dio è amore”», ha rilevato monsignor Claudio
Stercal, direttore del Centro Studi di Spiritualità della Facoltà teologica di Milano, nell’incontro
introduttivo. Precisando: «Il senso della vita consacrata è imparare ad amare, nella vita, alla scuola del
Vangelo; e insegnare ad amare. Tutti abbiamo un unico destino: consacrare noi stessi, per amore, a
qualcosa o qualcuno».
Segni di speranza
Sulla stessa lunghezza d’onda suor Antonia Franzini (delegata diocesana dell’Usmi) ha sottolineato:
«Oggi una cosa ci è chiesta: essere noi stessi, appartenenti a Dio, capaci di relazioni autentiche e di
abitare le periferie. La speranza della vita consacrata è fondata sull’esperienza del Salvatore che ci ha
promesso la beatitudine già qui: “Beati voi …”. Non ci è garantito di ritrovare le situazioni dei tempi
d’oro, semmai ci siano stati. Tuttavia vi sono tanti segni di speranza, anche se spesso si fatica a vederli.
Penso alle sorelle e ai fratelli che vengono da altri Paesi e portano la loro energia di vita e la freschezza di
una fede non scontata, come talvolta è la nostra. Penso alla speranza che brilla nei volti di chi,
incontrando religiosi e religiose, si stupisce della loro vita e rilegge la propria alla luce di Gesù. La vita
consacrata è segno di speranza quando è “ospedale da campo”, quando si fa prossima per curare le ferite e
vive l’esperienza della minorità e della fragilità. Del resto, come ricorda Paolo, “quando sono debole, è
allora che sono forte (2 Cor 12,10)».
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